...

Piccoli Bronzi

Brescia
Centro San Desiderio
Ottobre 2004

“…Dentro le nuvole scintillano i gradini
Dentro la vampa immobili destini
Dentro lo specchio ancora
Il fuoco dell’Aurora…”

Piccoli Bronzi

introduzione di Giovanni Marconi

È sempre una volontà di operare in profondità, di muoversi in una linea che vede l’esperienza artistica come un’esplorazione cognitiva del sé e di sé che sta alla base del “divenire” di queste ultime mie opere. Si è cercato di...

È sempre una volontà di operare in profondità, di muoversi in una linea che vede l’esperienza artistica come un’esplorazione cognitiva del sé e di sé che sta alla base del “divenire” di queste ultime mie opere.
Si è cercato di produrre fenomeni per la loro origine, apparentemente distanti (bronzi e scritti) interpolandoli fra loro; ed è a queste diversità, all’esito del loro incontro, all’ “accadimento” suscitato dal loro confronto che dedichiamo queste poche righe. Così le singole “poesie”, se così vogliamo definirle in mancanza di un termine più idoneo, non giocano un ruolo autonomo come composizioni a sé stanti ma sono strettamente collegate a specifiche creazioni scultoree; in sostanza ne esprimono il medesimo contenuto/soggetto, il medesimo “racconto”, il medesimo mito. Ricerca questa, come dirò, di un nucleo più profondo dal quale forse può sgorgare una rivelazione.

Dal punto di vista cronologico le sculture sono nate prima degli scritti in un arco di tempo di sei, sette anni, ed è proprio per questo che è emersa la necessità di estendere la percezione/intuizione, data dall’immagine in bronzo, verso gamme più vaste del sentire.

Il primo motivo di queste scelte è contenuto nel soggetto stesso delle sculture che colgono in un istante di un processo mitico e affabulatorio, l’attimo culminante di una storia che in sé vorrebbe concentrare, ma non può, tutto il passato e il futuro del racconto.. Né può, pur con tutto il dinamismo che un’opera plastica può evidenziare, implicare tutte le estensioni dello spazio e del tempo psichico che si dipanano come echi o onde in uno stagno dal nucleo più “solido” del bronzo.
Da qui il bisogno, quasi un condizionamento, di esplorare le profondità di questi echi con immagini collegate o collegabili – quelle evocate dalla parola – da cui nascono imprevedibilmente intrecci e derivazioni intuitive.
La parola e la scrittura si sono presentate spontaneamente come mezzo apparentemente più evanescente, meno fisico, la cui realizzazione e fruizione in termini temporali può essere maggiormente dilatata; foriera per questo di più vaste possibilità evocative e capace di produrre in modo più completo l’emergere di immagini eidetiche, concomitanti e coordinate con quelle evidenti dell’opera figurale.

Il secondo motivo, ciò che forse renderà più chiare le scelte di fondo, è definito dalla tipologia delle storie a cui sia le immagini sia gli scritti fanno riferimento.
Si tratta cioè di tracce di racconti, di frammenti, di miti che ci sono pervenuti incompleti (in alcuni casi di puri e semplici nomi di dei o di eroi), di allusioni a versioni differenti da quelle che la storia e l’archeologia “ufficiali” ci hanno tramandato; ma proprio per questo resi più affascinanti data la loro patente inafferrabilità. Ed è questo mondo subliminale che ci interessa, inespresso e forse perduto, dove tutto emerge per poi presto o tardi scomparire.
Il mondo dove sono nati i miti, i simboli e dove si è formata dagli istinti la coscienza, l’intuizione e la psiche umana. In questo “tempo del sogno”, incostante ma pur sempre presente, ho trovato perciò materia per il mio primo operare.
I nomi, gli attributi, gli istanti allusivi del centro di un racconto, i frammenti di cosmogonie perdute sono stati completati, reinventati o creati ex novo sulla base di esili tracce: essi non esistono nella storia ma nell’interiorità.

Il terzo dei movimenti discende dalla convinzione e forse dalla speranza che hanno sempre caratterizzato il mio operato fin dagli inizi, cioè che dai valori fondativi del mito con i suoi simboli e le sue strutture siano riorganizzatori da sempre del rapporto uomo-mondo; attestati nella storia delle antiche società (Kereny, Jung, Eliade ecc.), presenti allo stato latente tutt’ora nella stessa matrice dei comportamenti umani, siano riproponibili come metafore chiarificatrici delle contraddizioni del presente.
Ciò forse potrà aprire la strada ad un’arte ricca di implicazioni spirituali.
Inutile dire che il tentativo, in opposizione alla quasi completa disumanizzazione della nostra civiltà, vorrebbe transitare per i “luoghi interiori” sia dell’autore sia del fruitore, accomunati, temporaneamente dalla presenza di un centro oggettivo: l’apice di una fiaba, di un racconto, che sfuma le sue origini e le sue conclusioni in molteplici interpretazioni soggettive.
In sostanza il leggere gli scritti, avendo sotto gli occhi la scultura, dovrebbe suscitare l’avvento di un “tempo interno” che sintetizzi in sé lo scopo per cui è nato: rivelare il sacro che è in noi, cioè una sorta di teatro, di spettacolo che la psiche “allestisce” per se stessa, la cui catarsi è la certezza, la ricchezza, velate, nella realtà profonda che accomuna l’umana condizione.
Labile tentativo, forse, oscurato o oscurabile dal divenire della quotidianità.
Per questo i miti, le storie, qui presenti, vorrei che splendessero ancora una volta come i “grandi sogni” raccontati.

Giovanni Marconi
Filicudi
2004

...