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Pittura

L’emergere inarrestabile

Presentazione di Giovanni Marconi

Ho sempre dipinto, fin da quando io abbia ricordi, anche se questa è sempre stata un’attività nascosta, quasi segreta, per buona parte di quelli che conoscono il mio ormai lunghissimo operare come scultore o come scenografo.
Una affermazione autobiografica (confessione?) che può sembrare meramente aneddotica ma non lo è.
Questa è soltanto, per inciso, la mia seconda mostra di pittura in tutto il corso della mia vita in cui espongo una selezione di opere degli ultimi otto anni.

Comunque sia, la lunga durata di tempo che ho trascorso, che ho impiegato, in questa attività creativa, testimonia, la profonda intensità, potrei dire quasi simbiotica che ho con la pittura. Anche questa può apparire una affermazione generica,  chiunque si dedichi con passione e impegno a qualsivoglia forma d’arte può sottoscrivere le mie stesse affermazioni.
Quello che forse non è generico e, almeno per me, non appare tale, è la durata, la durata di un rapporto con un mondo sommerso, un mare di immagini in continuo movimento – del resto comune a tutti noi, a tutti gli umani – del quale la pittura è solo una parziale “trascrizione”.
In esso, come onde che si infrangono sulla riva, ora placate, ora violente, le immagini, le forme, le visioni, i sogni, le memorie personali e collettive, i racconti frammentati e senza fine, vengono gettati, qual conchiglie, sulle spiagge della coscienza, dell’intuizione o, meglio, della percezione.
Così, l’estatica contemplazione di certi paesaggi filtrata per oscuri canali dentro questa imagerie personale, associandosi, per sua natura a miti, simboli, racconti, riemerge inarrestabile come visione.
Si trattava, si tratta “solo” di raccogliere quelle che appaiono più splendenti, e io per lunghi anni ho raccolto, attratto pigramente o appassionatamente dal luccicare di un colore, dalla perfetta levigatezza di un concetto visivo. Che poi sia stato capace di comunicare la radiosità o la tenebrosa opacità di ciò che ho visto (e raccolto) sta a voi giudicare.

Certo questa reale o presunta visionarietà è anche alla radice del mio operato di scultore ma nella pittura si rivela immediatamente, io credo, nel modo di comporre questi dipinti. In essi, raramente appaiono personaggi (e solo quando sono, a me apparsi, come esseri eccezionali) ma solo paesaggi, privi della presenza umana. È una impostazione spaziale, simbolica e concettuale, del tutto soggettiva, assolutamente “privata” che vuole affermare come solo l’autore abbia visto per primo e per la prima volta, quei mondi non contaminati, fuori dalle umane civiltà. Essi sono contemporanei alla psiche più profonda e non alla umana quotidianità. Per questo i dipinti sono del tutto figurativi e la tecnica si sforza di essere la più esatta possibile. L’immagine, colta nella vorticante fluidità dei sogni, delle visioni, doveva, (deve!) giungere intatta all’occhio dello spettatore. Infine, molti di questi quadri alludono ad una storia, a un qualche racconto. Essi ne colgono il punto culminante ma lasciano nell’ombra ciò che è già avvenuto e ciò che dovrà ancora avvenire.

Con questo si inviterebbe lo spettatore a “raccontarsi” da solo, a giungere da solo a una qualche conclusione, a una qualche catarsi. Per me, ma forse solo per me, tutte queste immagini e le storie ivi implicite, sostanziate da miti, leggende e antiche memorie, fanno parte di una storia sola, quella che giunge al confine fra umano e natura, là dove è più facile e credo è possibile, vedere la luce di questi due mondi. Questa luce è il Sacro, il Sacro universale fuori e dentro ogni filosofia, pensiero e religione.

Giovanni Marconi

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