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Nemeton, la Via del Verde

Brescia
San Desiderio
10 marzo – 16 aprile 2017

Nemeton, la Via del Verde

introduzione di Giovanni Marconi

Nemeton è il nome con cui gli antichi Celti indicavano un’area in seno ai grandi boschi che dominavano allora il mondo.

Nemeton è il nome con cui gli antichi Celti indicavano un’area in seno ai grandi boschi che dominavano allora il mondo. E più particolarmente una radura nel profondo di quelle selve che per le sue peculiarità naturali appariva un luogo incantato, un luogo deputato alla rivelazione di qualche Entità di qualche Potenza. Un posto magico come se ne possono ancora trovare e dove sembra sempre che fra i muschi, le felci e le rocce stia per accadere – o forse è già accaduto poco prima del nostro arrivo – qualcosa di profondamente coinvolgente. Un luogo nel quale il Divino poteva manifestarsi. Una area sacra nella quale in molti casi era presente un altare e una sorgente elementi fondamentali del rito.

Anche i popoli latini (come moltissime culture arcaiche e “ primitive” nello spazio e nel tempo) avevano cura di queste sacre selve, di queste radure boschive; una pratica che probabilmente corrispondeva allo strato più antico e primordiale delle loro credenze religiose. Ciò si evince dai toponimi di molte località soprattutto italiane nelle quali il nome Lucus stava ad indicare una sacra radura nel fitto della macchia (e ancora uno di questi sopravvive nelle campagne vicino a Roma: il Lucus Feronie).
Il Lucus, parola che deriva da lux alludendo alla luminosità – le cui valenze simboliche non è luogo qui approfondire – che invadeva la radura in contrasto con l’oscurità del bosco – era un luogo di concentrazione di Energie. In essi, nel Nemeton, nel lucus attraverso lo svolgersi del rito la comunicazione uomo – natura acquisiva la pregnanza , l’intensità dei primordi e veniva rinnovata la coscienza di esser parte della grande fratellanza della vita, di tutta la vita: vegetale animale e… minerale.

In questi luoghi il microcosmo umano riconosceva i legami saldi, i ritmi, i cicli non ancora spezzati da future civiltà tecnologiche che lo collegavano al macrocosmo. Uno spazio un tempo quelli richiamati dal rito che ritornava ad essere quello delle origini presente da sempre nel mondo onirico e nelle “nostalgie” più profonde di tutta l’umanità.
Il Tempo del Sogno degli aborigeni australiani, l’Età dell’Oro, la Saturnia Tellus dove tutto era nuovo e perfetto e gli Dei camminavano sulla terra, dove la comunicazione con la natura e i suoi abitanti visibili ed invisibili faceva parte dell’essenza di ciò che più profondamente era ed è umano.

Questa per me è la Via del Verde, una strada che l’umanità ha abbandonato da tempo, che è anche la motivazione di questa fase della mia pittura. Nel folto dei boschi, nella potenza latente dei grandi alberi secolari, io, come molti altri prima di me, ho cercato (e forse ho trovato) ciò che io chiamo il Numinoso Primordiale la rivelazione del divino originario, il contatto cosciente e reciproco con ciò che ha ispirato i nostri sogni, e prima ancora di ogni razionalizzazione, naturalmente e intuitivamente, ha fatto scaturire i miti le cosmogonie e i loro fantastici abitanti. Per questo ho cercato di dipingere selve, radure, alberi cosmici , non solo dal punto di vista delle energie che li hanno generati o da quello delle stratificazioni millenarie, dense di significati simbolici e mitici con cui gli umani hanno dato sostanza e corpo alle prime, ma anche e soprattutto dal punto di vista della Magia. Magia come forza mediatrice fra ciò che visibile e ciò che non lo è, fra ciò che è virtuale e ciò che ha nome. Magia come potere evocatore della forza universale – il C’hi degli antichi Cinesi, il Mana dei Melanesiani – che è anche la corrente spirituale alla quale noi umani dovremmo io credo accordarci per evolverci interiormente. Pena l’oscurità dell’abisso.
Disumanizzazione, alienazione, annullamento dell’umana identità, e molte altre terribili realtà devastate è invece quello che ci regala a piene mani la nostra cultura, la nostra civiltà, e nei confronti della natura solo distruzione.

Lancinante è il dolore che ho sempre provato – e che tutt’ora provo – quando ho assistito all’incendio o all’abbattimento di intere foreste o all’erosione, al consumo irreparabile di grandi aree naturali a opera di cementificazioni, speculazioni o lottizzazioni selvagge e tanto più quando viene abbattuto un grande albero secolare. La mia impressione allora è quella di dover elaborare un lutto per la scomparsa definitiva e irreparabile di un parente carissimo, un capostipite della mia razza, un mitico Antenato della mia stirpe. La razza, la stirpe di quelli come me che nati selvaggi, sono costretti a vivere in un mondo del tutto artificiale ma sanguinosamente feroce. Perciò vista la vicinanza, la comunione, la fratellanza, durata eoni, ( molte centinaia di migliaia d’anni ) fra uomini e foreste non reputo questa una reazione eccessiva . È come sentire che una parte profonda del proprio essere sia stata amputata, una parte non solo organica – che la mia vita è certamente interconnessa per vie nascoste con quella del grande vegetale stroncato – ma anche intuitiva, emotiva, mentale e profondamente spirituale , quella che ha accettato da sempre le latenze energetiche, psichiche, evolutive e significanti della natura, senza le quali la mia esistenza cosciente e razionale non esisterebbe.

È anche per questo che ho dipinto I Nemeton , i Luci e gli Alberi del Mondo con il timore di una perdita sempre più irreparabile. La perdita che accende subito la nostalgia di una rivelazione – che appare data la crudezza dei tempi sempre meno possibile – quella della luce delle origini che solo la natura ( e le sue selve ) vissuta e “abitata” può dare.
Essa per me, è anche la luce futura di un’umanità migliore.

Giovanni Marconi

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